"La Marcialonga dei bisonti

  La Marcialonga dei bisonti




Un forte applauso al vincitore, oggi lo svedese Emil Persson che ha battuto in volata il norvegese Tord Asle Gjerdalen, ma anche all’ultimo; “ l'ultimo e il primo… 

"poiché la Marcialonga è si una competizione agonistica ma è anche una prova di volontà che pone tutti sullo stesso piano”.


E’ per questo che decido di pubblicare l’articolo “La Marcialonga dei bisonti”. Voglio ricordare tutti  quegli atleti che ogni anno si schierano numerosissimi in griglia e danno il massimo per portare a termine nel migliore dei modi la competizione. Quella gara così dura da essere considerata quasi “un banco di prova” per tutti, professionisti e… gente comune.


La loro partecipazione oggi non è stata così massiccia come quella delle passate edizioni ma comunque di tutto rilievo visto il periodo storico che si sta attraversando. Oggi, moltissimi di loro non sono stati i protagonisti ma di certo hanno tante storie da ricordare e raccontare. 


Io ve ne racconto una… 


 

Articolo

“Il sorgere del sole segna l’attesa, sempre più spasmodica, delle migliaia di marcialonghisti nella piana di Moena. Fino a quando tutti, sulla linea del via, aspettano allineati il colpo di cannone. - Spiegava poco prima della partenza lo speaker al microfono di una radio locale - Oggi, domenica 25 gennaio 1976, un nastro innevato di 70 chilometri snodato tra le valli di Fassa e Fiemme sarà percorso dai fondisti che daranno vita alla 5a edizione della Marcialonga.” 

“Ecco in lontananza che si intravedono i primi concorrenti, - descriveva il radiocronista a gara inoltrata, in prossimità di Soraga. - Aspettiamo con ansia di vedere chi ha gestito al comando la gara durante questi primi 5 km e siamo curiosi di scoprire se lo farà per i prossimi 65. Ma ecco... vediamo in lontananza avanzare i primi, anzi il primo concorrente. È solo, ma sembra in difficoltà perché in lontananza lo stanno raggiungendo con andatura estremamente più elevata il gruppo degli inseguitori. È un italiano, il numero 2157.” 

Tanti aneddoti, tante storie, grandi numeri. La Marcialonga è un formidabile veicolo promozionale per le Valli di Fiemme e Fassa, per tutto il Trentino. Basta pensare che l’indotto generato dalla sola gara invernale è di circa 8 milioni di euro, è diretta da una donna (Gloria Trettel) e assolda 1200 volontari. La Marcialonga è la più importante e famosa competizione di sci di fondo in Italia e si disputa sulle nevi delle Valli di Fiemme e Fassa, l’ultima domenica di gennaio. È l’unica gara al mondo che attraversa 13 comuni con un dislivello di mille metri e taglia due valli. Si snoda lungo un anello che ha come cornice da una parte i monti “Pallidi” della Val di Fassa (un’area dove si parla ancora ladino), dall’altra il massiccio della Marmolada. 

La gara si svolge su un percorso di 70 Km con partenza da Moena e arrivo a Cavalese. Il percorso prevede la salita fino a Canazei, dove bisogna arrivare prima della chiusura del cancello fissata alle ore 12.30, e la discesa fino a Molina per poi rientrare e concludere la gara a Cavalese. È un evento unico che permette ad ogni partecipante di attraversare le valli di Fassa e Fiemme sciando fra i boschi e i fiumi, ma soprattutto fra il calore della gente che li aspetta e li incoraggia. 

Nell’estate del 1970 quattro amici decisero di organizzare, in Valle di Fiemme, una gara di sci di fondo che ricalcasse, in qualche maniera, la mitica Vasaloppet svedese. Il 7 febbraio 1971 fu organizzata la prima edizione della Marcialonga. I quattro organizzatori, che avevano creduto in quel progetto, si aspettavano 100 partecipanti, ma ne arrivarono 1000. Oggi ne conta 7500. Le prime 6 edizioni furono riservate ai soli uomini; a partire dal 1978 la maratona fondistica fu aperta anche alle donne. 

Dovete sapere che i concorrenti che hanno partecipato a tutte le edizioni della Marcialonga sono chiamati “senatori”, mentre quelli che partono nell’ultimo scaglione sono denominati scherzosamente “i bisonti”. L’ultimo concorrente che giunge all’arrivo di Cavalese viene clamorosamente festeggiato con una corona d’alloro, identica a quella del vincitore. La Marcialonga ha anche due sorelle, la Marcialonga Running e la Marcialonga Cycling. 

Ma torniamo a noi.
“Il numero 2157? Ma come è possibile? Un numero così alto! Colpo di scena signori, colpo di scena!”. Io c’ero ma ero piccola e non posso ricordare ma mia mamma mi racconta che eravamo tutti li, amici e parenti dei concorrenti, che ascoltavamo la radio in compagnia mentre seguivamo i nostri eroi lungo le tappe del lungo tragitto. Eravamo altrettanto sorpresi sperando nel miracolo improbabile di “uno dei nostri”. 

Ben presto però la voce valligiana che raccontava in diretta la gara si accorse del grande bluff ed annunciò con tono incredulo il nome corrispondente a quel numero. La speranza di un miracolo a quel punto venne interrotta da un attimo di stupore che subito dopo venne sostituita da una clamorosa risata. “Ma quello, quello è il Robele!” 

Era la 5° edizione della Marcialonga, nel 1976. Il Robele era un senatore della Marcialonga (ovvero le aveva fatte tutte) che si distingueva dal resto della massa perché partiva in incognita. Si organizzava, con una giacca a vento (blu, ricorda mia mamma), sopra la tuta e facendo finta di fare il riscaldamento, lui... partiva. 

All’epoca non c’erano grandi controlli quindi il nostro senatore riusciva a non dare all’occhio fino a quando, a gara inoltrata, si toglieva la giacca a vento e sfoggiava il suo pettorale. Questa volta però... esagerò. Dopo 10 km arrivava a Canazei in testa alla gara, davanti ai più grandi atleti del momento. 

Eh già... allora succedeva anche questo, oggi non sarebbe possibile. 

Nel 2004 infatti la Marcialonga fu inserita nella Coppa del Mondo di sci di fondo acquisendo ancor più importanza : tra le donne, per Gabriella Paruzzi, è stata decisiva l’affermazione nella gara trentina per la conquista della coppa di cristallo. Alcuni atleti di punta non parteciparono, temendo di esaurire le loro energie in vista del prosieguo della stagione. 

Ricordo, prima che la Marcialonga entrasse a far parte del circuito della Coppa del Mondo, insieme ai miei amici non vedevamo l’ora che “buttassero” la neve con i camion in via Medina a Cavalese; la strettoia che porta i concorrenti dalla fine dell’ultima salita “spezzagambe” al traguardo, passando attraverso le vie del centro storico. La sera prima della gara ci intrufolavamo in pista e con i nostri sci giocavano a chi “arrivava primo”. 

Neve. Se non ci fosse bisognerebbe... spararla. E i 18 cannoni in azione sul percorso Marcialonga (uno ogni 4 km circa) non deludono mai. In passato non si era così organizzati, non eravamo sotto l’occhio del riflettore, e soprattutto la tecnologia non era così avanzata, infatti la gara non si svolse negli anni 1975, 1989 e 1990 per mancanza di neve. “Per ogni edizione della Marcialonga”, dichiara Alfredo Weiss, presidente della Marcialonga, “bisogna produrre più o meno 300.000 metri cubi di neve, ma si confida ovviamente nella neve naturale, per risparmiare risorse economiche. I trasporti della neve incidono marcatamente”. 

Oggi, dicevamo, i nostri figli devono escogitarsi altro per fare gli eroi sulla neve ma non credo che abbiano problemi. È solo cambiato il modo. Sicuramente lo troveranno ma non nel modo in cui lo facevamo noi, facendo finta di gareggiare prendendoci un momento di gloria cavalcando le scie di una pista dove sarebbero passati, il giorno dopo, i campioni. Oggi guardiamo ad altro, bisogna gestire un evento importantissimo, non si può rischiare nulla o rovinare una pista che deve essere perfetta. 

Oggi, Il “Robele” di ieri, o chi pur non essendosi spinto così oltre, ma comunque a modo proprio ci ha provato e c’è riuscito, verrebbe squalificato. 

Altri tempi, altre regole, ma la voglia di sognare era la stessa, sicuramente più spregiudicata rispetto ad oggi solo perché veniva permesso e qualcuno riusciva più facilmente a spingere quasi oltre l’impossibile, il proprio sogno e la voglia di vincere. 

Chi viene a conoscenza per la prima volta dell’esistenza di una gara lunga 70 Km da passare sugli sci, pensa che siano dei pazzi scatenati. Ma lo sport è passione, sacrificio, costanza, e quando fai la Marcialonga una volta e scopri l’emozione che si prova ad attraversare quei paesini con la gente che tifa per te, la passione si può solo rafforzare. 

La Marcialonga però è la prova scientifica che lo sci di fondo, passo alternato, è uno sport per tutti. Per Ferruccio Buzzi, 85 anni, che copre i 70 mila metri in una decina di ore. E per gente come i campioni in carica, il norvegese Simen Østensen, i fratelli norvegesi Jørgen e Anders Aukland, gli italiani Fulvio Valbusa, il vincitore della prima edizione nel 1971 Ulrico Kostner, il detentore di 4 vittorie Maurilio De Zolt e Giorgio Vanzetta. Nelle donne la campionessa russa in carica Julia Tikhonova, la svizzera Seraina Boner e le italiane Gariella Paruzzi, Guidina Dal Sasso con 4 vittorie consecutive, la mitica Maria Canins con 10 vittorie consecutive dal 1979 al 1988 e la mia amica di Tesero Cristina Paluselli. Sportivi professionisti che tutti gli anni, in testa al lunghissimo gruppo, fanno battaglia fra di loro, pronti a sgomitare per mettersi al collo la corona di alloro infilata sul traguardo al vincitore. 

La vera essenza della Marcialonga, come in tutte le granfondo sciistiche, ciclistiche o podistiche, però sta nel ventre del plotone, dove sudano e si impegnano migliaia di dilettanti con lo sport nel sangue. 

In mezzo, ci sono seimila “bisonti” che arrivano da 30 nazioni diverse, che partono dall’Italia o dall’estero e mettono in conto qualche giorno di ferie (oppure un viaggio-sfacchinata) per partecipare a una delle più belle manifestazioni popolari dello sport nazionale. 

Sono loro l’altra faccia della Marcialonga. Ci sono quelli coi copricapo a corna, quelli coi baffi ghiacciati e altri coi visi insanguinati dalle racchettate, quelli con le smorfie di dolore per i crampi alle braccia, alla schiena, alle gambe, ma che non mollano. E poi quelli che con i campanacci fanno il tifo. A farla da padroni sono gli scandinavi, più di 2700 fra norvegesi e svedesi. Ma gli stranieri, in tutto, sono 3900. Sono loro, questi seimila bisonti, i veri protagonisti della gran sfilata del fondo in tecnica classica che si corre nella patria di Franco Nones, il primo italiano, nel ’68 (a Grenoble), a scippare per poco meno di un minuto ai fuoriclasse scandinavi una medaglia d’oro olimpica.
Ci sono poi gli appassionati, cresciuti facendo il tifo per i grandi azzurri come Fauner, De Zolt e Maria Canins ma anche ammirando il fuoriclasse norvegese Bjorn Dhaelie o l’italiana Manuela di Centa che vengono spinti da quella passione sfrenata e la soddisfazione di arrivare prima dell’amico e dire un giorno: “C’ero anch’io !”. Gente comune che descrivendo la loro esperienza dicono:


“Il mio racconto sulla Marcialonga di Fiemme e Fassa inizia dall’arrivo sotto lo striscione del traguardo a Cavalese. A differenza delle altre otto edizioni, questa volta non ho sorriso passando sotto il traguardo, ho pianto. Un pianto di sollievo e liberazione per aver terminato questa lunghissima maratona con gli sci di fondo in 5 ore 49’. La fatica è stata notevole, ho un terribile mal di schiena e non riesco a tirarmi su, mia figlia piccola vuole essere presa in braccio e chi ce la fa? I miei amici, Marco e Max, già docciati e cambiati mi chiedono come sto e io non riesco neanche a parlare. Sono trascorsi tre giorni e già penso alla prossima edizione. Guardo la classifica: speravo in qualcosa di meglio! Ma questa non è una gara, è una favola da raccontare, anche se densa di sudore!” 

Ho sempre avuto il pallino, come tutti i Cavalesani, di partecipare ad una edizione della Marcialonga... Dopo questo articolo penso proprio che mi iscriverò sul serio. Ma questa è un’altra storia... 

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